La Fotografia da tempo è per me lavoro ed irrinunciabile gioco; a Lei devo molte esperienze di viaggio ed incontri interessanti. Tra i diversi temi, che su commissione o per ricerca realizzo, ho da sempre un debole per le foto che raccontano lo spazio e come sia condizionato da architetture e presenze umane, che lo animano e lo definiscono. Mi piace quando con una spruzzata di buona luce la realtà si trasforma in una immagine ricca di volumi. Se tutto mi sembra in equilibrio, vedo la mia “buona composizione” e il mondo mi sorride felice!
Il reportage “Felicittà” è frutto di questo mio modo di intendere la fotografia; per due settimane cedendo il meno possibile alle lusinghe del pollo fritto e del ketchup, ho viaggiato e fotografato la mia America. La nostra cultura di europei è stata influenzata da quanto è arrivato da oltre oceano: letture che parlano di grandi viaggi, film dove c’è sempre una grande missione da compiere o mitiche “surfate da leoni” nella calda California. Per le strade delle città o lungo le immense highway, la sensazione di un dejà vu è costante: quell’auto della polizia troppo simile alle tante viste in qualche telefilm, il diner perfetta copia di quello di Happy Days (senza Fonzie) e la tanta musica che ti accompagna e che riemerge dal tuo vissuto.
Quella americana è una società fortemente competitiva, molto organizzata (del resto sennò come si fa a conquistare la luna?) ma tutti apparentemente aderiscono alla regola di una continua ricerca della felicità. Questo stato d’animo è oltretutto un diritto san- cito dalla Costituzione. Non deve stupire quindi se per strada incontri distinti signori in gonna e parrucca totalmente a loro agio, tifosi perennemente scatenati per l’ultimo spossato atleta di una maratona. Quanto ai nostri occhi può apparire una superficiale “americanata” è probabilmente l’atteggiamento gioioso e scanzonato che rivendica il diritto alla felicità in barba alla dura legge del dollaro.